mercoledì 18 maggio 2016

Trame e opinioni: Nella giungla di Park Avenue di Wednsday Martin

Titolo: Nella giungla di Park Avenue
Autore: Wednsday Martin
Casa editrice: De Agostini
Collana: Bookme
Pag.: 285
Costo: 14,90













Trama
Quando "Wednesday Martin" e suo marito scoprono di aspettare un bambino, il desiderio di crescerlo in un quartiere il più possibile verde e salubre li spinge a traslocare dal Greenwich Village all'esclusivo Upper East Side di Manhattan. Dietro le immacolate facciate dei palazzi, oltre le lobby tirate a lucido sorvegliate da impeccabili portieri in livrea, Wednesday scopre la vera Park Avenue: l'ambiente più ostile e competitivo al mondo, governato da un sistema di regole, rituali, totem e tabù da fare invidia agli aborigeni australiani. Forte del suo background in antropologia, l'autrice adotta un punto di vista "scientifico" per studiare e comprendere la sua nuova tribù e, forse, trovare il mondo di esserne accettata. Dalla decostruzione delle pratiche igienico-estetiche tipiche delle signore locali (note anche come le Geishe di Manhattan), ai sordidi dettagli della inevitabile caccia alla borsa-feticcio di Hermès, il risultato è un ritratto della tribù più esclusiva, invidiata e vituperata del pianeta: quella dei super ricchi e delle loro esilissime, ambiziosissime consorti.


Il commento di Patrizia

Se vi aspettate il classico romanzo resterete delusi. Se invece siete disposti ad aprire la mente vi troverete immersi in una buona lettura, ironica, con linguaggio tecnico e irriverente. Ci troviamo dinanzi a un ibrido, un mix di romanzo, guida della Lonely Planet, di un diario personale, di un trattato sulla società.
Ricco di spunti sulla follia umana, di quanto sia più importante l’apparire dell’essere. Ogni capitolo lascia un po’ perplessi e amareggiati dalla triste verità che una donna si preoccupa sempre più del proprio abito firmato, della borsetta Hermes, del fisico perfetto.
La protagonista è una “macchietta” ma con tutta la determinazione di questo mondo lotta per divenire una delle tante (molto molto triste).

 Quando raccontai del trasferimento alle mie amiche del Village, mi fissarono come se avessi appena confessato con aria estatica il proposito di unirmi a una setta. 
«Almeno le mogli dei ricconi del Village hanno gli occhiali, un dottorato e un posto da dirigente in un’azienda non-profit» fu il commento del marito di una mia amica una sera a cena. Sottinteso: invece le mogli dei ricconi dell’Upper East Side hanno solo i capelli biondi e le tette finte. E trascorrono le giornate a casa in compagnia di figli e domestici. Giusto?

Insieme a lei percorreremo l’iter dell’acquisto della casa giusta, dell’iscrizione alla scuola giusta, alla palestra perfetta, perché tutto deve essere ovviamente perfetto!!! (fa molto sex and the city diciamocelo)

Ogni giorno, per diverse settimane, indossai la mia divisa da acquirente immobiliare dell’Upper East Side: un abito sobrio e di buon taglio abbinato a ballerine di Agnès B. o French Sole, e la borsa più chic che possedessi. Come tocco finale, una raffinata (o almeno così speravo) coda di cavallo. Poi chiamavo un taxi, e dopo decine di isolati incontravo Inga nell’atrio di un palazzo d’anteguerra, quasi sempre a ovest di Lexington Avenue. La nostra ricerca si concentrava entro i confini della zona in cui si trovavano le migliori scuole pubbliche; la più costosa di tutta Manhattan. Avremmo speso una fortuna per la casa per poi mandare nostro figlio a una scuola statale. Quel paradosso non sfuggiva né a noi né a Inga.


Giorno dopo giorno, non riuscivo a capacitarmi dell’opulenza che mi circondava. Non era solo la ricchezza del quartiere e dei suoi abitanti. In termini antropologici, questo tipo di benessere si può definire come «emancipazione ecologica».
Troppi bambini. Troppo denaro. E poche scuole. Nella terra dell’opulenza, esistevano cose difficili da procurarsi. L’eventualità di non poter iscrivere il figlio in una scuola elitaria era il terribile predatore a cui sfuggire. Era il nostro giaguaro.


Esileranti le pagine relative all’iscrizione del figlio all’asilo...

L’ammissione di nostro figlio in una scuola prestigiosa ci aveva reso euforici. 
Stavo attenta a non vantarmene, ma gli sguardi invidiosi delle altre madri mi inorgoglivano. Un posto in una scuola materna in grado di aprire le giuste porte equivaleva a possedere un grosso diamante, una villetta indipendente e una casa con vista sul mare negli Hamptons. Personalmente, però, mi faceva soprattutto sentire una buona madre. Come lo scimpanzé Flo.


Una totale rivalutazione delle palestre inn, da morir dal ridere proprio come nei film.

Come accade ai primati che si spostano da un branco all’altro, mi ritrovavo alla base della gerarchia: osservata speciale, vessata o semplicemente ignorata. A volte avrei desiderato essere una scimmia urlatrice: una di quelle giovani femmine che balzano direttamente al potere, spodestando con la forza le altre reginette. Invece mi sentivo un babbuino.


Lettura difficile da consigliare, un po’ asettica a parer mio, gradevole e esilarante in certe parti e in altre priva di emozioni, phatos.  
Sicuramente sono contenta di aver fatto questa esperienza perché finalmente un qualcosa di diverso dal solito tram tram.

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