Autore: Wednsday Martin
Casa editrice: De Agostini
Collana: Bookme
Pag.: 285
Costo: 14,90
Trama
Quando "Wednesday Martin" e suo marito scoprono di aspettare un bambino, il desiderio di crescerlo in un quartiere il più possibile verde e salubre li spinge a traslocare dal Greenwich Village all'esclusivo Upper East Side di Manhattan. Dietro le immacolate facciate dei palazzi, oltre le lobby tirate a lucido sorvegliate da impeccabili portieri in livrea, Wednesday scopre la vera Park Avenue: l'ambiente più ostile e competitivo al mondo, governato da un sistema di regole, rituali, totem e tabù da fare invidia agli aborigeni australiani. Forte del suo background in antropologia, l'autrice adotta un punto di vista "scientifico" per studiare e comprendere la sua nuova tribù e, forse, trovare il mondo di esserne accettata. Dalla decostruzione delle pratiche igienico-estetiche tipiche delle signore locali (note anche come le Geishe di Manhattan), ai sordidi dettagli della inevitabile caccia alla borsa-feticcio di Hermès, il risultato è un ritratto della tribù più esclusiva, invidiata e vituperata del pianeta: quella dei super ricchi e delle loro esilissime, ambiziosissime consorti.
Il commento di Patrizia
Se
vi aspettate il classico romanzo resterete delusi. Se invece siete disposti ad
aprire la mente vi troverete immersi in una buona lettura, ironica, con
linguaggio tecnico e irriverente. Ci troviamo dinanzi a un ibrido, un mix di
romanzo, guida della Lonely Planet, di un diario personale, di un trattato
sulla società.
Ricco
di spunti sulla follia umana, di quanto sia più importante l’apparire
dell’essere. Ogni capitolo lascia un po’ perplessi e amareggiati dalla triste
verità che una donna si preoccupa sempre più del proprio abito firmato, della
borsetta Hermes, del fisico perfetto.
La
protagonista è una “macchietta” ma con tutta la determinazione di questo mondo
lotta per divenire una delle tante (molto molto triste).
Quando raccontai del trasferimento alle mie amiche
del Village, mi fissarono come se avessi appena confessato con aria estatica il
proposito di unirmi a una setta.
«Almeno le mogli dei ricconi del Village hanno
gli occhiali, un dottorato e un posto da dirigente in un’azienda non-profit» fu
il commento del marito di una mia amica una sera a cena. Sottinteso: invece le
mogli dei ricconi dell’Upper East Side hanno solo i capelli biondi e le tette
finte. E trascorrono le giornate a casa in compagnia di figli e domestici.
Giusto?
Insieme a lei percorreremo l’iter
dell’acquisto della casa giusta, dell’iscrizione alla scuola giusta, alla
palestra perfetta, perché tutto deve essere ovviamente perfetto!!! (fa molto
sex and the city diciamocelo)
Ogni giorno, per diverse settimane, indossai la mia
divisa da acquirente immobiliare dell’Upper East Side: un abito sobrio e di
buon taglio abbinato a ballerine di Agnès B. o French Sole, e la borsa più chic
che possedessi. Come tocco finale, una raffinata (o almeno così speravo) coda
di cavallo. Poi chiamavo un taxi, e dopo decine di isolati incontravo Inga
nell’atrio di un palazzo d’anteguerra, quasi sempre a ovest di Lexington
Avenue. La nostra ricerca si concentrava entro i confini della zona in cui si
trovavano le migliori scuole pubbliche; la più costosa di tutta Manhattan.
Avremmo speso una fortuna per la casa per poi mandare nostro figlio a una
scuola statale. Quel paradosso non sfuggiva né a noi né a Inga.
Giorno dopo giorno, non riuscivo a capacitarmi
dell’opulenza che
mi circondava. Non era solo la ricchezza del quartiere e dei suoi abitanti. In
termini antropologici, questo tipo di benessere si può definire come
«emancipazione ecologica».
Troppi bambini. Troppo denaro. E poche scuole. Nella terra
dell’opulenza, esistevano cose difficili da procurarsi. L’eventualità di non
poter iscrivere il figlio in una scuola elitaria era il terribile predatore a
cui sfuggire. Era il nostro giaguaro.
Esileranti le pagine relative
all’iscrizione del figlio all’asilo...
L’ammissione di nostro figlio in una scuola
prestigiosa ci aveva reso euforici.
Stavo attenta a non vantarmene, ma gli
sguardi invidiosi delle altre madri mi inorgoglivano. Un posto in una scuola
materna in grado di aprire le giuste porte equivaleva a possedere un grosso
diamante, una villetta indipendente e una casa con vista sul mare negli
Hamptons. Personalmente, però, mi faceva soprattutto sentire una buona madre.
Come lo scimpanzé Flo.
Una
totale rivalutazione delle palestre inn, da morir dal ridere proprio come nei
film.
Come accade ai primati che si spostano da un branco
all’altro, mi ritrovavo alla base della gerarchia: osservata speciale, vessata
o semplicemente ignorata. A volte avrei desiderato essere una scimmia
urlatrice: una di quelle giovani femmine che balzano direttamente al potere,
spodestando con la forza le altre reginette. Invece mi sentivo un
babbuino.
Lettura difficile da consigliare, un
po’ asettica a parer mio, gradevole e esilarante in certe parti e in altre priva
di emozioni, phatos.
Sicuramente sono contenta di aver fatto
questa esperienza perché finalmente un qualcosa di diverso dal solito tram
tram.
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